Dante

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JeanPaulLevesque
view post Posted on 4/3/2007, 15:09




Dante Alighieri
(Firenze 1265 - Ravenna 1321)

Il più grande poeta italiano e uno dei maggiori del mondo. Nacque in Firenze nel quartiere di S. Martino da donna Bella, d'ignoto casato, prima moglie di Alighiero di Bellincione ed ebbe al fonte di S. Giovanni il nome di Durante, abbreviato familiarmente in Dante. La stirpe degli Alighieri (v.) era un ramo della nobile casa degli Elisei, decaduto e impoverito, tanto da vivere scarsamente delle rendite fondiarie e da doversi dare a piccoli traffici bancari e ad altri negozi per poter mantenere un certo decoro signorile. Ma D. fu fierissimo della generosa nobiltà del suo sangue, cui più volte accenna nelle sue opere, ravvisando nella tradizione domestica una fonte di virtù civili, uno stimolo all'educazione morale, un presidio contro gli assalti e le tentazioni dell'egoismo, vizio quanto mai plebeo ed ignobile. Fanciullo e giovinetto frequentò, pare, le scuole dei Francescani di Santa Croce, ma la rettorica, e specialmente l'ars dictaminis, più che nella scuola l'apprese dalla familiarità con ser Brunetto Latini, dal quale, per sua testimonianza, imparò pure, cosa assai più importante, «comme l'uom s'eterna». Studi rettorici completò poi probabilmente a Bologna e forse anche a Parigi. Non è improbabile che fin d'allora oltre che alla rettorica si avvicinasse anche al diritto. Ma ben più che le Istituzioni e le Pandette, amò in giovinezza e poi per tutta la vita i classici latini che allora si leggevano nelle scuole: Boezio e Livio, Cicerone e Seneca, Ovidio e Orazio, ma soprattutto Virgilio «suo maestro e suo autore» del quale derivò «lo bello stile». Molto si dilettò anche nell'apprendimento della musica e del disegno. Alla poesia volgare si volse ancor giovinetto e da sé apprese l'arte «di dire parole per rima» (Vita Nuova, III 9), e fu presto in grado di entrare in corrispondenza e in gara coi trovatori del suo tempo, non solo fiorentini: più che con gli altri si legò con Guido Cavalcanti e Lapo Gianni.
Si giovò specialmente della più matura esperienza del primo, soprattutto agli inizi; poi, sotto l'influenza del Guinizelli (dopo che ne fu divulgata la canzone Al cor gentil) egli stesso divenne maestro dei suoi amici ed elaboratore della poetica del «dolce stil nuovo». Furono questi studi e questi saggi poetici (sebbene da lui, come da Guido Cavalcanti e dagli altri migliori, elaboratori con profondissimo impegno morale) un aspetto della sua educazione e della sua vita di giovane gentiluomo, che si preparava a prender parte attiva alla vita del Comune. Si esercitò nelle armi, combatté per la patria e per parte guelfa fra i feditori (truppe a cavallo) a Campaldino e fu presente alla presa del castello di Caprona. Fu tra i gentiluomini deputati dal Comune a far corte al giovane pincipe Carlo Martello d'Angiò quando (1294) si fermò a lungo in Firenze, e se ne cattivò la stima e l'amicizia (Parad., VIII 54-57). Di questi anni sono gli amori di D. Il padre fin dal 1277 aveva fatto per lui, fanciullo, contratto di nozze con la piccola Gemma, figlia di Manetto Donati (un cugino del potente Corso, ma di un ramo finanziariamente decaduto e che si teneva piuttosto lontano dalla politica); seguirono le nozze celebrate attorno al 1295. Da questo matrimonio (che forse non fu molto felice: D. non nomina mai la moglie nelle sue opere, e la moglie, che non lo seguí nell'esilio, anche dopo che i figli furono grandicelli e anche essi banditi, probabilmente non lo rivide più), nacquero vari figli: Pietro, Jacopo, Antonia (che forse è una persona sola con suor Beatrice, la figlia che fattasi monaca a Ravenna gli fu vicina nell'ora della morte) e pare anche un Alighiero, un Gabriello, un Eliseo, morti. Se il Johannes Dantis Alagherii dei Florentia che comre in un aito dcl 1308 è, come pare probabile, un figlio di D. egli gli nacque prima e fuori del matrimonio. Ma altri amori ebbe D. in giovinezza: soprattutto il primo, e più lungamente rivissuto nella memoria e trasfigurato e indiato, ha interesse per noi, perché permea tutta l'opera del poeta: l'amore per Beatrice.

E' questa gentilissima creatura d'arte e di sogno da riconoscere nella vivente realtà di una Bice dè Portinari, figlia di Folco, coetanea del poeta, andata sposa (1288) a Simone dè Bardi e prematuramente morta nel 1290.
Durante la desolazione oscuraperla morte della donna segretamente e castamente amata, D. ebbe eonforto da una «donna gentile» nella quale qualcuno ha voluto vedere quella che poi fu sua moglie, Gemma Donati. Altri amori per una Lisetta, per una Pargoletta, per una Pietra (questa di natura intensamente sensuale) hanno lasciato tracce nelle poesie di D. Ma più che in tutte queste esperienze d'arte e di vita, armi ed amori ed ansie e trepidazioni per il nuovo focolare, D. trovò conforto alla sua insoddisfazione interiore e ai suoi lutti nello studio della filosofia. Ormai giovane maturo, poco dopo il 1290 si avviò alle scuole «de li religiosi, a le disputazioni de li filosofanti» (Canv. II XII 7). Fiorivano in quegli anni a Firenze gli «studi» dei Domenicani, dei Francescani, degli Agostiniani e vi insegnavano illustri maestri; fresca era la memoria dell'Olivi che aveva tenuto cattedra con gran frutto fino all'89. D. attese intensissimamente allo studio sistematico della filosofia, e vi prese tanto diletto che «lo suo amor cacciava e distruggeva ogni altro pensiero». Di questo studio è testimonianza il Convivio. In questi stessi anni D. comincia a prendere parte viva alla cosa pubblica, e quando l'ordinanza del Comune del 6 marzo 1295 consentí che anche i nobili potessero essere eletti ad alcune cariche pubbliche purché si iscrivessero alle Arti, egli subito s'immatricolò in quella dei medici e degli speziali, forse come cultore di filosofia naturale o forse, come qualcuno ha supposto, come dilettante di pittura (i pittori erano iscritti infatti fra gli speziali). Fu nel Consiglio del popolo per la sessione dal novembre 1295 all'aprile 1296, fu dei Savi scelti nel dicembre del 1295 per riformare le norme dell'elezione dei Priori; dal maggio al settenbre del 1296 fu membro del Consiglio dei Cento. Poichè sono andati distrutti i verbali delle Assemblee Fiorentine del 1298 al febbraio del 1301, non è possibile sapere con precisione tutte le cariche pubbliche che D. ricoprí in quel periodo. Sappiamo tuttavia che nel maggio del 1300 fu ambasciatore del Comune a quello di San Gimignano per sollecitarlo a partecipare al consiglio per il rinnovo della Lega guelfa fra le città di Toscana, e che quell'anno stesso fu eletto fra i Priori per il bimestre 15 giugno - 15 agosto. Poiché allora il nemico della libertà del Comune fiorentino era papa Bonifacio VIII D. a viso aperto si batté per contribuire a mandare a vuoto tutte le richieste che il Legato pontificio venuto a Firenze avanzò via via ai Rettori e agli altri maggiorenti e pubblici ufficiali. La situazione politica, della quale la Cronica di Dino Compagni è specchio fedele, divenne torbida e pericolosissima. D. fu guelfo bianco con Vieri dè Cerchi, cioè col partito della libertà. All'avvicinarsi di Carlo di Valois (chiamato da papa Bonifacio per dargli in feudo il regno di Sicilia e per sottomettere prima ai suoi voleri la Toscana), la Signoria pensò di mandare un'ambasceria al Papa: D. fu uno dei tre ambasciatori che partirono nell'ottobre del 1301 alla volta di Roma. Il Papa rimandò gli altri due ambasciatori con controproposte e trattenne presso di sé il più pericoloso, D. il quale cosí fu assente da Firenze nell'ora cruciale in cui i Bianchi, per l'incertezza e la inettitudine di Vieri dè Cerchi e di altri capi, si lasciarono soffocare senza combattere dal partito di Corso Donati, sostenuto dal Papa e dal suo fido Carlo di Valois. Riuscito a lasciare la Corte pontificia nei primi giorni del 1302, sostando a Siena in attesa di notizie, lo raggiunse l'annunzio ai primi di febbraio che i Neri vincitori avevano devastato e depredato le sue case e lo avevano,il 27 gennaio,sotto accusa di baratteria e di guadagni illeciti e di opposizione al Papa, condannato a due anni di esilio, all'ammenda di 5000 fiorini e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

 
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